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Il mistero di Argo 16, l’aereo dei servizi segreti precipitato in Italia

Un aereo dei servizi segreti italiani precipita, i membri dell’equipaggio muoiono: l’ombra di una guerra segreta nell’Italia degli anni Settanta.

Sono passati molti anni, ma quell’incidente aereo non ha mai avuto una soluzione: siamo nel 1973, è il 23 novembre e l’Italia si è appena svegliata sotto le prime misure di austerità imposte dal governo Rumor per fronteggiare la crisi petrolifera. Nello stesso momento, un aereo militare decolla dalla pista dell’aeroporto Marco Polo di Venezia. Si tratta di un C-47 Dakota, la cui sigla operativa è Argo 16, un velivolo utilizzato in missioni delicate dai servizi segreti italiani.

Il mistero di Argo 16, l’aereo dei servizi segreti precipitato in Italia (Aeroclubmarinadimassa.it)

Dopo pochi minuti di volo, però, qualcosa va storto e l’aereo vira a sinistra precipitando senza più alcuna correzione di rotta. Si schianta così contro una palazzina del Petrolchimico di Marghera, a poche centinaia di metri da un deposito di fosgene. Se l’avesse colpita, la catastrofe sarebbe stata inimmaginabile. Muoiono tutti e quattro i membri dell’equipaggio, veterani esperti dell’Aeronautica.

Argo 16, un mistero lungo oltre 50 anni: l’ombra del Mossad

Si apre così il mistero di Argo 16, che dura da oltre 50 anni, ma che passa inosservato, perché in quelle ore si parla di altro, ovvero di emergenza economica nazionale e del rapimento di John Paul Getty. La prima inchiesta militare si chiude rapidamente, senza sequestrare tutti i resti del velivolo e con una conclusione. Ovvero tutto è avvenuto per “causa imprecisata”. Bisogna aspettare ben dieci anni perché il giudice istruttore Carlo Mastelloni, indagando sui rapporti tra Italia e OLP, si ritrova tra le carte Argo 16.

Argo 16, un mistero lungo oltre 50 anni: l’ombra del Mossad (Aeroclubmarinadimassa.it)

Quell’aereo, qualche giorno prima dello schianto, ha trasportato in Libia due miliziani palestinesi appena scarcerati, nell’ambito di un delicato equilibrio diplomatico noto come lodo Moro. Un fatto che non sarebbe andato giù a Israele. Ci sono testimonianze di alcuni ex vertici dei servizi segreti italiani che accusano apertamente il Mossad, ovvero i loro colleghi israeliani, di aver ordito un sabotaggio come ritorsione.

La riapertura del caso e l’ennesimo muro di gomma

A quel punto, Mastelloni riapre il caso trovandosi però davanti un muro di reticenze, documenti mancanti e deposizioni improvvisamente vaghe da parte di chi, anni prima, ha fornito versioni ben più nette. Sotto segreto di Stato ci sono atti cruciali, mentre gli archivi militari restituiscono solo informazioni parziali. Lo schema è più o meno quello riguardante l’inchiesta sul Dc-9 dell’Itavia che si è inabissato nei mari di Ustica il 27 giugno 1980.

La riapertura del caso e l’ennesimo muro di gomma (Aeroclubmarinadimassa.it)

Il muro di gomma, citando una definizione coniata da Andrea Purgatori parlando dell’omertà su Ustica, sembra però cedere: una nuova perizia ribalta la prima ricostruzione. La caduta di Argo 16,  viene ammesso,non poteva essere liquidata come un incidente inspiegabile. Nel frattempo emerge un altro tassello: Argo 16 era stato a lungo utilizzato per missioni collegate a Gladio, la struttura paramilitare clandestina della NATO.

Il ruolo di Giulio Andreotti e l’assoluzione di tutti gli accusati

Si ipotizza addirittura un regolamento di conti interno all’Aeronautica italiana, ma questa ipotesi non trova riscontri e viene presto accantonata. Dopo dodici anni di indagini, nel 1998 il procuratore Mastelloni rinvia a giudizio 47 persone, tra cui l’ex direttore del Mossad Zvi Zamir e Giulio Andreotti, accusati rispettivamente di sabotaggio e occultamento di atti. Sembra un punto di svolta, ma come successo in altri misteri d’Italia, arriva per tutti l’assoluzione, perché le prove non bastano o non esistono più.

Il ruolo di Giulio Andreotti e l’assoluzione di tutti gli accusati (Aeroclubmarinadimassa.it)

La colpa è anche del fatto che i resti dell’aereo, che si potevano e dovevano analizzare, erano stati distrutti da tempo. L’assoluzione chiude il caso dal punto di vista formale, ma non scioglie i dubbi: ci pensa l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, poco prima di morire, a rievocare la pista israeliana, suggerendo apertamente un’azione di vendetta. Insomma, nessun colpevole, ma l’enigma resta sospeso tra guerre segrete, diplomazie parallele e verità dette a mezza bocca.

Gabriele Mastroleo